lunedì 16 aprile 2012

Rudolf Steiner e lo sviluppo del linguaggio come preparazione per il pensiero: dire, nominare e parlare

Il parlare si sviluppa con l’orientamento nello spazio. La vita è prima gesto, e il gesto si trasforma interiormente in quanto muove il parlare. Camminare, parlare, pensare derivano uno dall’altro. Come il bambino impara ad orientarsi nello spazio, a camminare, come impara a trasformare i primi indistinti, incerti movimenti di braccia in movimenti corrispondenti ad uno scopo, in relazione con il mondo esteriore, tutto ciò si trasferisce attraverso la misteriosa organizzazione umana nell’organizzazione della testa, e si manifesta nel parlare. Ogni suono ha un tono diverso in un bambino che camminando fa ciondolare i piedi, rispetto a quello di un bambino che cammina con forza. Tutta la sfumatura del linguaggio viene data dall’organismo motore. Il modo di muoversi di una persona è rivelatore del segreto celato nella volontà.
Il bambino attraversa nell’ordine tre fasi: dire, nominare e parlare. Il dire è collegato al movimento dal basso, parte dall’azione del camminare. Il nominare è collegato al movimento dall’alto: l’udito e il movimento della bocca. Dall’incontro di queste due forze nasce il parlare, in cui si esprime l’individualità.
Il balbettio è universale, non ci sono differenze di appartenenza etnica! E questo perché il linguaggio parte da dentro, si fa strada nel grembo materno (ecco perché si dice “lingua madre”). Il bambino si muove come Adamo nel Paradiso e dà un nome alle cose. I piccoli versi con i quali esprimeva soddisfazione e desiderio, le espressioni inarticolate di gioia e di dolore, la lallazione infantile esercitata con entusiasmo, cominciano a fondersi in unità sensate. Nel dire “mamma” il bambino non indica solo una persona ma esprime un mondo di significati e intenzioni.
Nel breve volgere di circa 6 mesi il bambino impara spesso centinaia di parole, a tre/quattro anni padroneggia una serie di regole grammaticali che solo molto più tardi comprenderà nel loro significato logico.
Dal fatto di aver indotto con amore il bambino a camminare dipenderà molto del modo in cui egli dominerà più tardi il linguaggio. Il movimento, lo sviluppo motorio nel bambino, aiutano il linguaggio. La staticità di un bambino e la nostra stessa staticità possono invece ostacolarlo perché rende faticosoa per il bambino la creazione di immagini.
Se, aiutando ad apprendere a camminare, dobbiamo immergere nell’amore ogni nostro aiuto, è poi necessario che nell’insegnare a parlare, nell’aiuto che daremo in questo senso, noi siamo interiormente del tutto veritieri. Solo così il bambino imparerà a parlare imitando quel che lo circonda, in modo da rafforzare in sé la più sottile attività che si deve svolgere di continuo nel suo organismo con l’inspirare e l’espirare. Uno degli atteggiamenti non veritieri consiste nel fatto che chi è attorno al bambino creda molto spesso di far del bene abbassandosi a parlare al suo livello. Il bambino non vuole avere un linguaggio atteggiato in maniera infantile: vuole udire il linguaggio veritiero dell’adulto. A causa della sua incapacità, il bambino ripeterà prima balbettando quel che gli si dice: ma non dobbiamo balbettare noi stessi. Così come non ha senso comprargli libri illustrati con l’idea di istruirlo e di fargli apprendere in tempo breve un gran numero di concetti scientifici nuovi! Lo sottoporremmo ad uno sforzo intellettuale a cui non è pronto. Anche se il linguaggio del bambino così pieno di inventiva e di grazia dura per un po’, ci penserà poi lo spirito di imitazione ad indicargli la strada giusta.
I tempi d’ acquisizione della capacità di camminare, parlare e pensare sono variabili e questo non deve allarmare i genitori. I bambini dotati di una volontà forte ma poco chiara, sembrano talvolta un po’ addormentati e si sviluppano, nei primi anni, con notevole lentezza. La loro forza la dimostrano più tardi. Vi sono bambini i quali, non volendo esporsi a critiche, esitano a parlare finchè un bel giorno, all’improvviso, dimostrano di sapersi esprimere quasi senza errori con un ricco vocabolario.
Per educare i bambini e saper suscitare il loro interesse occorre che il linguaggio, da un puro livello informativo, in cui spesso oggi si trova, si elevi e si trasformi in qualcosa di più artistico. Se vogliamo paragonare l’attività del parlare a qualcosa, dobbiamo avvicinarla all’attività artistica. Il bambino è un’artista. Se siamo convinti di ciò, l’arte della parola può essere un aiuto per i genitori. In questa età l’educazione nel campo del linguaggio non richiede esercizi speciali, ma consiste soprattutto nell’autoeducazione dell’adulto. Per lo sviluppo del linguaggio di un bambino è necessario fare un lavoro sulla nostra parola. 
Rudolf Steiner  ha dato un grande numero di esercizi. Ci sono esercizi che ci fanno comprendere quale vita animica molto diversificata sia nascosta nelle vocali; altri che ci aiutano a immedesimarci nelle caratteristiche e nella espressività immaginativa delle consonanti; ma esiste anche qualche esercizio per entrare coscientemente nel mondo ricco e diversificato dei gesti. Alcuni esercizi proposti da Rudolf Steiner ai primi maestri Waldorf ci permettono di scoprire, nell’ascolto e nella pronuncia, come i suoni dell’alfabeto muovano e conformino, ciascuno a suo modo, l’aria che ci circonda. Sperimentare la morbidezza di una "m" e tutta la sua forza avvolgente, passare al sibilo incisivo della "s", assaporare con tutti noi stessi la diversa musicalità delle cinque vocali, espressioni del nostro mondo interiore fatto di passioni, gioie e dolori, è una sorta d’iniziazione, una possibilità di risvegliarci ad un mondo abitualmente frequentato, ma sconosciuto e misterioso nella sostanza. Secondo Steiner il suono e la rappresentazione di esso erano all’origine uniti, poi il suono scese nell’inconscio e la rappresentazione salì nella coscienza. Si differenziarono così i suoni vocalici che fanno riferimento al mondo interiore, esprimono la meraviglia, e quelli consonantici che appartengono all’esperienza del mondo esterno.
Un passo ulteriore è quello di rendere ampio e profondo il nostro respiro. Nel momento in cui riconosciamo la necessità di riconquistare questo terreno perduto e a tale fine indirizziamo la nostra volontà, il nostro risveglio si trasformerà immediatamente in un dono per gli altri. Un sano e calmo respiro in chi racconta una fiaba diventerà subito un calmo ed equilibrato respiro nei bambini che la ascoltano. Il respiro sostiene la parola. Spesso noi nella lettura andiamo di fretta, accorciamo i suoni. Occorre allungarli, soffermarsi, imparare ad esitare. La capacità di rendere viva e colorita una storia accenderà l’interesse e la fantasia. Aumentando la consapevolezza di ciò che stiamo dicendo, trasformiamo la parola in un’arte: arte capace di rendere più cosciente il pensiero, più morbida e viva l’azione.
Occorre porre attenzione ai temperamenti dei bambini e alle differenze di linguaggio conseguenti. Il bambino collerico usa molto i verbi. Il bambino malinconico riflette, si esprime molto attraverso la parola, usa più spesso i sostantivi (sostanza=peso). Nel sanguinico, quando parla, senti l’aria che si muove, c’è un movimento gioioso e leggero. Il flemmatico è più ritmico, più neutro, si muove in maniera costante, esegue una specie di marcia. Pertanto quando leggiamo qualcosa ai bambini, dobbiamo tenere conto dei loro temperamenti e adeguare la nostra lettura, andare incontro alla loro tendenza.
Un’indicazione importantissima è che prima di leggere noi riusciamo a crearci un’immagine. Senza immagini, la parola non ha senso!
E’ necessario far fluire nel nostro linguaggio, quando parliamo o narriamo, quattro sensi: tatto, movimento, equilibrio e senso della vita. Essi devono ritrovarsi nel tono, nel clima che generiamo. Quando cominciamo a narrare qualcosa al bambino creiamo una situazione incantata (canto), sonora. Il bambino nel linguaggio non coglie il concetto ma l’atmosfera, la melodia. L’atmosfera nella quale si narra e si ascolta non è meno importante del contenuto. L’atmosfera acustica che con le nostre parole, con la nostra voce noi riusciamo a creare intorno al bambino è importantissima. Più questa atmosfera è compenetrata di vita, di espressività, di amore, meglio è per la crescita sana del bambino in tutti i sensi. Questo non significa che dobbiamo sempre parlare con toni dolci e suadenti. E’ chiaro che qualche volta dobbiamo anche rimproverare, punire, sgridare. Ma facciamolo sempre con una voce in cui si manifesti sotto la severità e persino sotto l’ira, un accento sottile di benevolenza e di amore. I bambini con gioia e con meravigliosa spontaneità imitano la voce e il gesto dell’autorità amata e venerata.
E’ importante, certo, dare ai bimbi i contenuti giusti, ma ancora più importante è dare questi contenuti nel modo giusto. E questo modo giusto consiste in primo luogo nell’uso corretto della parola, visto che l’educazione si realizza soprattutto attraverso il linguaggio. Come genitori esponiamo il bambino per migliaia di ore al suono della nostra voce.  Per comprendere meglio la nostra responsabilità legata a questo fatto dobbiamo osservare quanto sia importante il ruolo che ha il modo di parlare nella vita quotidiana. Facciamo un esempio : noi assistiamo ad un convegno e sentiamo due conferenzieri che si pronunciano sullo stesso argomento, esprimono gli stessi pensieri, persino quasi con le stesse parole. Ma l’effetto che i due oratori hanno su di noi è molto diverso : il primo ci lascia indifferenti, le sue parole arrivano solo alle orecchie e non al cuore ; il secondo ci coinvolge dal primo momento con tutta l’anima. Perché? Possiamo constatare che il primo oratore parlava molto veloce, mangiando molte parole o sillabe, con una voce monotona, non animata, né articolata, mentre l’altro aveva la voce sonora, con una certa risonanza, si prendeva il tempo per accentuare le cose importanti e per variare l’intonazione secondo il carattere del pensiero che stava esponendo. Ma c’è di più: osservando l’effetto che le due allocuzioni hanno sul nostro stato animico possiamo constatare che durante la prima ci sentiamo oppressi, aggravati o anche agitati e innervositi, in relazione al nostro temperamento, mentre la seconda ha un effetto rasserenante e nello stesso tempo anche vivificante. Se questo vale per noi adulti, ancora di più vale per i bambini. Essi vivono, come sappiamo, con molta più intensità nelle impressione dei sensi, e la dolcezza o durezza, la modulazione ricca o povera di una voce entrano non soltanto nel loro orecchio, ma in tutta la loro esistenza animica e persino corporea.
Così possiamo ben comprendere perché Rudolf Steiner dava enorme importanza ad un linguaggio coltivato, curato e artistico. Nella pedagogia Waldorf ci vengono dati validi mezzi per realizzare questo: il racconto di storie differenziate per le varie età: fiabe, leggende, miti, etc..; le diverse attività artistiche (scultura, disegno, pittura, musica); l’euritmia e l’arte della parola. Quest’ultima ha la forza di cambiare qualcosa in tutto l’essere umano. La cultura di oggi ha la tendenza ad ottundere e assopire i pensieri, i sentimenti, la volontà dell’uomo. Nel nostro tempo, in cui la vita è in larga misura influenzata o anche penetrata dal mondo della tecnica, i suoni predominanti nel nostro ambiente sono lo strepitare o crepitare delle macchine, lo stridere e il gracchiare degli apparecchi musicali, il rumore spietato delle macchine per lavori stradali. Se per noi adulti il bombardamento di tutti questi suoni è fastidioso e insopportabile, per i bambini, che assorbono indifesi e riproducono nell’imitazione ogni impressione che arriva loro da fuori, questo rumore, questo crepitio continuo diventa parte della vita animico-corporea. E infatti oggi capita di incontrare anche bambini molto piccoli che hanno già una voce stridula o dura, o persino metallica. Quale felicità ci può dare la voce leggera, angelica, pura e limpida di una bambina di cinque o sei anni ! Ci sentiamo per un momento sollevati dalla pesantezza e gravità di questa nostra vita terrestre, trasportati in un mondo celeste e sereno. Dobbiamo chiederci se la durezza della voce di cui abbiamo parlato è un segnale che anche nell’anima di questi bambini qualcosa si è già indurito, meccanizzato. E se fosse realmente così come saranno, come agiranno questi bambini quando saranno più grandi? Tanti altri fenomeni ci mostrano che nel profondo delle anime di quei bambini stessi c’è un nucleo, un bocciolo che vuole dispiegarsi in un’umanità pura e luminosa. Il nostro compito come educatori è vivificare, far crescere e far fiorire queste forze buone.
L’arte della parola, con l’intenso lavoro su noi stessi, dà al pensare maggiore oggettività, al sentire più sensibilità per le sfumature animiche e più apertura verso l’altro uomo, all’agire più fermezza e sicurezza. Essa vivifica, risveglia, risana le anime.

Riferimenti bibliografici:

“Arte della parola e arte dell'educazione” di Helmut von Wartburg –Filadelfia Editore
“L’educazione dei figli” di Rudolf Steiner- Oscar Mondadori
“Educare alla libertà” di Frans Carlgren e Arne Klingborg- Filadelfia Editore




NICOLETTA.

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