Il bambino attraversa nell’ordine
tre fasi: dire, nominare e parlare. Il dire è collegato al movimento dal basso,
parte dall’azione del camminare. Il nominare è collegato al movimento dall’alto:
l’udito e il movimento della bocca. Dall’incontro di queste due forze nasce il
parlare, in cui si esprime l’individualità.
Il balbettio è universale, non ci
sono differenze di appartenenza etnica! E questo perché il linguaggio parte da
dentro, si fa strada nel grembo materno (ecco perché si dice “lingua madre”). Il bambino si muove come Adamo nel Paradiso e dà un
nome alle cose. I piccoli versi con i quali esprimeva soddisfazione e
desiderio, le espressioni inarticolate di gioia e di dolore, la lallazione
infantile esercitata con entusiasmo, cominciano a fondersi in unità sensate.
Nel dire “mamma” il bambino non indica solo una persona ma esprime un mondo di
significati e intenzioni.
Nel breve volgere di circa 6 mesi
il bambino impara spesso centinaia di parole, a tre/quattro anni padroneggia
una serie di regole grammaticali che solo molto più tardi comprenderà nel loro
significato logico.
Dal fatto di aver indotto con
amore il bambino a camminare dipenderà molto del modo in cui egli dominerà più
tardi il linguaggio. Il movimento, lo sviluppo motorio nel bambino, aiutano il
linguaggio. La staticità di un bambino e la nostra stessa staticità possono
invece ostacolarlo perché rende faticosoa per il bambino la creazione di
immagini.
Se, aiutando ad apprendere a
camminare, dobbiamo immergere nell’amore ogni nostro aiuto, è poi necessario
che nell’insegnare a parlare, nell’aiuto che daremo in questo senso, noi siamo
interiormente del tutto veritieri. Solo così il bambino imparerà a parlare
imitando quel che lo circonda, in modo da rafforzare in sé la più sottile
attività che si deve svolgere di continuo nel suo organismo con l’inspirare e
l’espirare. Uno degli atteggiamenti non veritieri consiste nel fatto che chi è
attorno al bambino creda molto spesso di far del bene abbassandosi a parlare al
suo livello. Il bambino non vuole avere un linguaggio atteggiato in maniera
infantile: vuole udire il linguaggio veritiero dell’adulto. A causa della sua
incapacità, il bambino ripeterà prima balbettando quel che gli si dice: ma non
dobbiamo balbettare noi stessi. Così come non ha senso comprargli libri
illustrati con l’idea di istruirlo e di fargli apprendere in tempo breve un
gran numero di concetti scientifici nuovi! Lo sottoporremmo ad uno sforzo
intellettuale a cui non è pronto. Anche se il linguaggio del bambino così pieno
di inventiva e di grazia dura per un po’, ci penserà poi lo spirito di
imitazione ad indicargli la strada giusta.
I tempi d’ acquisizione della
capacità di camminare, parlare e pensare sono variabili e questo non deve
allarmare i genitori. I bambini dotati di una volontà forte ma poco chiara,
sembrano talvolta un po’ addormentati e si sviluppano, nei primi anni, con
notevole lentezza. La loro forza la dimostrano più tardi. Vi sono bambini i quali,
non volendo esporsi a critiche, esitano a parlare finchè un bel giorno,
all’improvviso, dimostrano di sapersi esprimere quasi senza errori con un ricco
vocabolario.
Per educare i bambini e saper
suscitare il loro interesse occorre che il linguaggio, da un puro livello
informativo, in cui spesso oggi si trova, si elevi e si trasformi in qualcosa
di più artistico. Se vogliamo paragonare l’attività del parlare a qualcosa,
dobbiamo avvicinarla all’attività artistica. Il bambino è un’artista. Se siamo
convinti di ciò, l’arte della parola può essere un aiuto per i genitori. In
questa età l’educazione nel campo del linguaggio non richiede esercizi
speciali, ma consiste soprattutto nell’autoeducazione dell’adulto. Per lo
sviluppo del linguaggio di un bambino è necessario fare un lavoro sulla nostra
parola.
Rudolf Steiner ha dato
un grande numero di esercizi. Ci sono esercizi che ci fanno comprendere quale
vita animica molto diversificata sia nascosta nelle vocali; altri che ci
aiutano a immedesimarci nelle caratteristiche e nella espressività immaginativa
delle consonanti; ma esiste anche qualche esercizio per entrare coscientemente
nel mondo ricco e diversificato dei gesti. Alcuni esercizi proposti da Rudolf
Steiner ai primi maestri Waldorf ci permettono di scoprire, nell’ascolto e nella
pronuncia, come i suoni dell’alfabeto muovano e conformino, ciascuno a suo
modo, l’aria che ci circonda. Sperimentare la morbidezza di una "m" e
tutta la sua forza avvolgente, passare al sibilo incisivo della "s",
assaporare con tutti noi stessi la diversa musicalità delle cinque vocali,
espressioni del nostro mondo interiore fatto di passioni, gioie e dolori, è una
sorta d’iniziazione, una possibilità di risvegliarci ad un mondo abitualmente
frequentato, ma sconosciuto e misterioso nella sostanza. Secondo Steiner il suono e la rappresentazione di esso erano
all’origine uniti, poi il suono scese nell’inconscio e la rappresentazione salì
nella coscienza. Si differenziarono così i suoni vocalici che fanno riferimento
al mondo interiore, esprimono la meraviglia, e quelli consonantici che
appartengono all’esperienza del mondo esterno.
Un passo ulteriore è quello di
rendere ampio e profondo il nostro respiro. Nel momento in cui riconosciamo la
necessità di riconquistare questo terreno perduto e a tale fine indirizziamo la
nostra volontà, il nostro risveglio si trasformerà immediatamente in un dono
per gli altri. Un sano e calmo respiro in chi racconta una fiaba diventerà
subito un calmo ed equilibrato respiro nei bambini che la ascoltano. Il respiro
sostiene la parola. Spesso noi nella lettura andiamo di fretta, accorciamo i
suoni. Occorre allungarli, soffermarsi, imparare ad esitare. La capacità di
rendere viva e colorita una storia accenderà l’interesse e la fantasia.
Aumentando la consapevolezza di ciò che stiamo dicendo, trasformiamo la parola
in un’arte: arte capace di rendere più cosciente il pensiero, più morbida e
viva l’azione.
Occorre porre attenzione ai
temperamenti dei bambini e alle differenze di linguaggio conseguenti. Il bambino
collerico usa molto i verbi. Il bambino malinconico riflette, si esprime molto
attraverso la parola, usa più spesso i sostantivi (sostanza=peso). Nel
sanguinico, quando parla, senti l’aria che si muove, c’è un movimento gioioso e
leggero. Il flemmatico è più ritmico, più neutro, si muove in maniera costante,
esegue una specie di marcia. Pertanto quando leggiamo qualcosa ai bambini,
dobbiamo tenere conto dei loro temperamenti e adeguare la nostra lettura,
andare incontro alla loro tendenza.
Un’indicazione importantissima è
che prima di leggere noi riusciamo a crearci un’immagine. Senza immagini, la
parola non ha senso!
E’ necessario far fluire nel
nostro linguaggio, quando parliamo o narriamo, quattro sensi: tatto, movimento,
equilibrio e senso della vita. Essi devono ritrovarsi nel tono, nel clima che
generiamo. Quando cominciamo a narrare qualcosa al bambino creiamo una
situazione incantata (canto), sonora. Il bambino nel linguaggio non coglie il
concetto ma l’atmosfera, la melodia. L’atmosfera nella quale si narra e si
ascolta non è meno importante del contenuto. L’atmosfera acustica che con le
nostre parole, con la nostra voce noi riusciamo a creare intorno al bambino è
importantissima. Più questa atmosfera è compenetrata di vita, di espressività,
di amore, meglio è per la crescita sana del bambino in tutti i sensi. Questo
non significa che dobbiamo sempre parlare con toni dolci e suadenti. E’ chiaro
che qualche volta dobbiamo anche rimproverare, punire, sgridare. Ma facciamolo
sempre con una voce in cui si manifesti sotto la severità e persino sotto
l’ira, un accento sottile di benevolenza e di amore. I bambini con gioia e con
meravigliosa spontaneità imitano la voce e il gesto dell’autorità amata e
venerata.
E’ importante, certo, dare ai
bimbi i contenuti giusti, ma ancora più importante è dare questi contenuti nel
modo giusto. E questo modo giusto consiste in primo luogo nell’uso corretto
della parola, visto che l’educazione si realizza soprattutto attraverso il
linguaggio. Come genitori esponiamo il bambino per migliaia di ore al suono
della nostra voce. Per comprendere
meglio la nostra responsabilità legata a questo fatto dobbiamo osservare quanto
sia importante il ruolo che ha il modo di parlare nella vita quotidiana.
Facciamo un esempio : noi assistiamo ad un convegno e sentiamo due
conferenzieri che si pronunciano sullo stesso argomento, esprimono gli stessi
pensieri, persino quasi con le stesse parole. Ma l’effetto che i due oratori
hanno su di noi è molto diverso : il primo ci lascia indifferenti, le sue
parole arrivano solo alle orecchie e non al cuore ; il secondo ci coinvolge dal
primo momento con tutta l’anima. Perché? Possiamo constatare che il primo
oratore parlava molto veloce, mangiando molte parole o sillabe, con una voce
monotona, non animata, né articolata, mentre l’altro aveva la voce sonora, con
una certa risonanza, si prendeva il tempo per accentuare le cose importanti e
per variare l’intonazione secondo il carattere del pensiero che stava
esponendo. Ma c’è di più: osservando l’effetto che le due allocuzioni hanno sul
nostro stato animico possiamo constatare che durante la prima ci sentiamo
oppressi, aggravati o anche agitati e innervositi, in relazione al nostro
temperamento, mentre la seconda ha un effetto rasserenante e nello stesso tempo
anche vivificante. Se questo vale per noi adulti, ancora di più vale per i
bambini. Essi vivono, come sappiamo, con molta più intensità nelle impressione
dei sensi, e la dolcezza o durezza, la modulazione ricca o povera di una voce
entrano non soltanto nel loro orecchio, ma in tutta la loro esistenza animica e
persino corporea.
Così possiamo ben comprendere
perché Rudolf Steiner dava enorme
importanza ad un linguaggio coltivato, curato e artistico. Nella pedagogia
Waldorf ci vengono dati validi mezzi per realizzare questo: il racconto di
storie differenziate per le varie età: fiabe, leggende, miti, etc..; le diverse
attività artistiche (scultura, disegno, pittura, musica); l’euritmia e l’arte
della parola. Quest’ultima ha la forza di cambiare qualcosa in tutto l’essere
umano. La cultura di oggi ha la tendenza ad ottundere e assopire i pensieri, i
sentimenti, la volontà dell’uomo. Nel nostro tempo, in cui la vita è in larga
misura influenzata o anche penetrata dal mondo della tecnica, i suoni predominanti
nel nostro ambiente sono lo strepitare o crepitare delle macchine, lo stridere
e il gracchiare degli apparecchi musicali, il rumore spietato delle macchine
per lavori stradali. Se per noi adulti il bombardamento di tutti questi suoni è
fastidioso e insopportabile, per i bambini, che assorbono indifesi e
riproducono nell’imitazione ogni impressione che arriva loro da fuori, questo
rumore, questo crepitio continuo diventa parte della vita animico-corporea. E
infatti oggi capita di incontrare anche bambini molto piccoli che hanno già una
voce stridula o dura, o persino metallica. Quale felicità ci può dare la voce
leggera, angelica, pura e limpida di una bambina di cinque o sei anni ! Ci
sentiamo per un momento sollevati dalla pesantezza e gravità di questa nostra
vita terrestre, trasportati in un mondo celeste e sereno. Dobbiamo chiederci se
la durezza della voce di cui abbiamo parlato è un segnale che anche nell’anima
di questi bambini qualcosa si è già indurito, meccanizzato. E se fosse
realmente così come saranno, come agiranno questi bambini quando saranno più
grandi? Tanti altri fenomeni ci mostrano che nel profondo delle anime di quei
bambini stessi c’è un nucleo, un bocciolo che vuole dispiegarsi in un’umanità
pura e luminosa. Il nostro compito come educatori è vivificare, far crescere e
far fiorire queste forze buone.
L’arte della parola, con
l’intenso lavoro su noi stessi, dà al pensare maggiore oggettività, al sentire
più sensibilità per le sfumature animiche e più apertura verso l’altro uomo, all’agire
più fermezza e sicurezza. Essa vivifica, risveglia, risana le anime.
Riferimenti bibliografici:
“Arte della parola e arte dell'educazione” di
Helmut von Wartburg –Filadelfia Editore
“L’educazione dei figli” di
Rudolf Steiner- Oscar Mondadori
“Educare alla libertà” di
Frans Carlgren e Arne Klingborg- Filadelfia Editore
NICOLETTA.
NICOLETTA.
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